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Zadig ovvero il destino
Guida alla sopravvivenza per un Italiano a Parigi
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«Molto egli ammirava quegli immensi globi di luce i quali, ai nostri occhi sembrano appena pallide scintille, mentre la terra, la quale in fatto non è che un punto impercettibile nello spazio, pare alla cupidigia nostra qualcosa di sì grande e di sì nobile. Egli vedeva allora gli uomini tali e quali essi sono in realtà, cioè degl’insetti che si divorano gli uni gli altri sopra un minuscolo atomo di fango» (Voltaire).
Zadig è il primo eroe romanzesco di Voltaire, la prima cometa nel buio cielo dell’Europa ancien régime. Cometa che si palesa per come conte philosophique o, giusta il sottotitolo di Micromega, «storia filosofica»: insieme divertimento e opera polemica. L’ambientazione è certamente un onirico e non datato Oriente; ma ogni qual volta si dice Babilonia (la città torno torno cui vorticano le vicende di Zadig) s’intende per vero Parigi. Questa la prima lezione che Voltaire raccoglierà dalle Lettere persiane di Montesquieu. Ma ecco tosto la seconda: il viaggio (per avida curiosità o necessità ineluttabile) come strumento di conoscenza e moltiplicazione delle esperienze; come trampolino per osservazioni etnologiche, discussioni filosofiche. Viaggiando – realmente o intorno alla propria camera – il sicuro diventa incerto, le preclusioni decadono, gli orizzonti si slargano, la duttilità del giudizio e della riflessione s’affina, fino a speronare il dogmatismo con una (col senno del poi, ambigua) «religione dello scettico».
A cura di Alessandro Settimo, traduzione Sergio Ortolani. Con un saggio di Riccardo Campi